Partendo dall’epica di Ellis Island e delle angherie subite dagli emigrati italiani in terra straniera, il volume si addentra nelle viscere del capitalismo italiano che ha visto sconfitte le grandi imprese private, spesso per incapacità manageriali, e al contempo ha scoperto la forza dei distretti industriali e delle medie imprese, il cosiddetto “quarto capitalismo”, al cui interno le “multinazionali tascabili” sono andate senza timori reverenziali alla conquista dei mercati internazionali.
Il volume tratteggia la capacità di risparmio degli italiani, analizza la composizione della ricchezza privata delle famiglie, descrive l’imprenditore italiano e il suo ethos, i suoi valori, sottolineando come il passaggio generazionale risulti spesso rilevante per le sorti dell’impresa, da considerare un soggetto terzo, indipendente dalla proprietà.
Una parte è dedicata al ruolo del sistema finanziario, troppo focalizzato sulle banche. Mentre ampio spazio viene dedicato al nanismo delle imprese italiane, alla scomparsa dei colossi industriali privati, al ruolo determinante del “made in Italy” dei distretti industriali e della media impresa. Si approfondisce la storia di Olivetti, Telecom Italia, FIAT e Mediobanca. E ci si chiede, infine, se abbia ancora senso lo Stato imprenditore.
Secondo Piccone, lo Stato, più che avere un ruolo come innovatore, dovrebbe creare le condizioni ottimali agli imprenditori per fare impresa. Più che una “politica industriale”, ci vorrebbe una “politica per l’industria”.
Corriere della Sera
Il Sole 24 Ore